di Raffaella Losapio

 

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Vincenzo Ceccato, in silenzio e con quel garbo premuroso e aristocratico che ha caratterizzato la sua vita, come lo ha definito Vittoria Biasi, si è allontanato dalla scena dell’arte sperimentale. E’ nato a Roma, dove si diploma all’Accademia di Belle arti con Franco Gentilini. Artista multimediale, affonda la sua ricerca dalle problematiche sperimentazioni degli anni 60’/’70 con il “Gruppo Altro” di Achille Perilli e con Claudio Bianchi nell’Associazione “L’Altrarte”, la radice storica alla quale appartiene in pieno, sia generazionalmente che per condivisione di esperienze creative. Lo statuto come regolamento di quest’ultima associazione, aveva lo scopo e la finalità di costituire una super-associazione con l’obiettivo di risolvere i problemi atavici nella sfera artistica ufficiale romana come prima istanza, per poi diffondersi, regione per regione in tutta Italia. Più che uno statuto per promuovere l’arte, era un sogno. Un sogno di liberazione, che avrebbe permesso agli artisti e a tutti gli esseri umani che intendevano esercitare la pratica artistica, un corollario di regole da condividere ed ufficializzare con le istituzioni, prima quelle comunali, poi regionali, fino a comprendere tutta l’Italia artistica. Furono persino elaborati a piè statuto parametri professionali che elencavano criteri obiettivi di riconoscimento di valori artistici per consentire la partecipazione a musei circoscrizionali istituiti dal C.R.A., sigla votata dalle associazioni culturali romane, quale nome della SuperAssociazione. Nel 1996 ha esposto al Castello di Genazzano, nel 1997 al Trevi Flash Art Museum a cura di Giancarlo Politi e Paolo Nardon. Vincenzo negli anni 2000 è stato anche tra i protagonisti principali della grande stagione degli Studi aperti a Roma, una manifestazione che ha posto al centro del sistema dell’arte, la figura dell’artista e dello studio. Ha lavorato con la galleria Romberg e presentato mostre personali e collettive con la galleria Monogramma di via Margutta. Dagli anni 2000 ad oggi ha sempre collaborato con Studio.ra di Raffaella Losapio nelle varie manifestazioni della London Biennale con il leggendario artista David Medalla, anche lui da poco scomparso ed in altri eventi con artisti di tutto il mondo. Il suo aggiornamento è stato incessante e continuo, elaborandone tutte le trasformazioni fino alla pittura digitale, all’installazione multimediale con l’uso di neon e teche, di serigrafie su vetro o plexiglass, alla videoart, fondendo nella tecnica e nei contenuti, il legame tra arte, scienza, ed approfondimenti di fisica e cosmologia. Ha realizzato la performance multimediale “Il Giardino dei veleni” in due versioni nel 2002 e nel 2005 al teatro Sala 1 con la collaborazione del coreografo Daniele Sterpetti e danzatrici professioniste e l’installazione “l’Ultima cena a 9 miliardi di anni luce”. Da questi due ultimi lavori ha creato due medio-metraggi “Labyrinth” e “Ora x-Scacco matto”, che sono stati proiettati ai cinema d’essai Detour e Grauco. In questo periodo di Coronavirus ha collaborato con la danzatrice Rossana Abritta, realizzando una performance e un video, proiettandolo nel suo studio RO.MI. contemporary art in via Vetulonia, Roma. L’artista ha partecipato ad Aste come Babuino e Bertolami Fine Art,  anche durante il periodo della pandemia, ha anche ultimato nuove opere per la consegna. Ha tenuto l’Atelier al Macro Asilo dal 25 al 30 giugno 2019, progetto ideato da Giorgio de Finis.Nel 2020 ha donato due opere al MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove. Ed è in preparazione un nuovo prestigioso catalogo ragionato sul suo lavoro dagli anni 60′ ad oggi. La sua singolare ricerca nelle varie forme, sagome o profili, disposti in sezioni spaziali con una tridimensionalità luminosa e prospettica, lo vede fra gli artisti più interessanti dal secolo scorso e alla contemporaneità. Siano tutti impreparati a questo suo passaggio.  Ci rifugiamo in quei segni che ci ha donato: profondi, infiniti mondi paralleli in cui forse lui si aggira, da cui ci guarda nel silenzio dell’universo. Abbiamo condiviso con lui avventure, progetti oltre il visibile e questo fa la differenza dei rapporti. Porteremo tutto nel cuore ora non sappiamo altro, ma continueremo il lavoro di ricerca artistica così come lui ci ha sempre insegnato e dimostrato.

 

 
 
Tratto dal testo di Gianfranco Evangelista

Da anni Vincenzo Ceccato prosegue una ricerca tutta personale basata sull’uso di mezzi e materiali nuovi e inusuali, come il neon, l’applicazione di varie tecniche fotografiche, il video, l’installazione, la performance teatrale, il plotter painting, la serigrafia su vetro e plexiglas, in una visione tecnologica del futuro, che vede l’uomo progressivamente cedere il passo ad altre realtà, concezioni dello spazio e dimensioni in cui la fisica e la cosmologia plasmeranno la sua figura, il suo essere e la natura che gli sta intorno, in una artificiale visione dell’ esistenza.

 

 

Nelle sue opere, la serialità delle immagini riprodotte e il loro dispiegarsi sulla superficie come in un vuoto prospettico, senza riferimenti reali e animati, ci introduce come nell’antro di un mago scienziato, zeppo di naturalia e artificialia, in una Wunderkammer dove tutto è contraffatto e strutturato all’interno di una pirotecnica Camera delle meraviglie futuristica. Qui tutto è inscatolato, impacchettato in uno spazio asettico, quasi le figure fossero tanti insetti diafani e farfalle sottili spillate su superfici pastello entro bacheche trasparenti, imprigionate e crocefisse quali forme residuali di un remoto passato su griglie trapezoidali, per la gioia e le occhiate avide di collezionisti guardoni di un lontano futuro. I colori usati per registrare le sagome quasi esclusivamente femminili e così replicate da diventare segno) sono sempre freddi, pallidi e algidi nella loro essenzialità, contribuendo così all’idea di una catalogazione della vita piatta e uniforme così come la concepiamo oggi, su questo nostro pianeta.

Soldatini allineati in righe ordinate, tutti in fila in una visione che preconizza l’avvenire della nostra epoca in una prospettiva che ci riporta alle inquietanti immagini della Metropolis di Fritz Lang. La mutazione umana verso un’entità artificiale, attraverso la scienza e la trasformazione della materia, ripercorre anche il rapporto tra uomo e robot, descritto per la prima volta nel romanzo R.U.R. dello scrittore ceco Karel Capek. Le creazioni visionarie di Lang e Capek, insieme alle fantasie del regista russo Vsevolod Mejerchol’d, che propendeva verso una prefigurazione dell’arte teatrale nel senso di un attore funambolico biomeccanico, sono le fondamenta proprie dell’opera e della ricerca artistica di Vincenzo Ceccato.

Con queste basi risulta evidente che l’ideazione, nell’opera dell’Autore, si pone alle origini delle avanguardie storiche del Novecento, derivandone una propria personale rilettura, così come la presenza attiva nella creazione scenica e nelle esperienze di interventi, azioni e performances teatrali, dove le immagini fisse diventano manichini addobbati o si tramutano in ballerini viventi di una coreografia siderale, avvicinano Ceccato ai lavori del Gruppo Altro di Achille Perilli, valido, questo, come riferimento anche per la nascita del gruppo intorno a lui degli artisti di Dimensione Altra, alla fine di quel decennio, gli anni ’70, così prolifico per tutte le arti, soprattutto a Roma.

La ripetizione, l’affastellamento quasi da catena di montaggio e la sovrapposizione delle silhouettes in un’atmosfera rarefatta, il loro proporsi come spauracchi, una collezione di automi connotati da una fissità spettrale, quasi fossero Golem riportati in vita dalla passione alchemica del negromante Autore, non si propone come qualcosa di pauroso o, peggio, minaccioso, ma come semplice evocazione di un medium allegro e giocoso, raccoglitore di storie, di identità nascoste e sconosciute.

A volte il bianco e le varie tonalità dell’azzurro si fondono ad un intenso blu cobalto, altre volte ad essi si sovrappone un acceso arancione e sempre tutto si mescola come flash di colore su fondali monocromatici a formare ombre e contorni, a volte fosforescenti, sinuosi come fantasmi soffusi di nebbia.

Questa ricerca sul colore, attraverso la fotografia serigrafica su plexiglas, con le sue figure di derivazione umana o umanoide, sagome e profili ritagliati, disposti in sezioni spaziali come in una tridimensionalità prospettica, rimanda a soglie di altri mondi, porte devianti verso altre dimensioni.

In archivio anche testi di Gabriele Perretta (teorico del Medialismo), Vittoria Biasi, Barbara Martusciello, Mike Watson, ed altri storici dell’arte.

www.romiart.net sito web del suo studio e luogo espositivo

 

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